Subito dopo lo tsunami i due ricercatori hanno tracciato quali sarebbero potuti essere i percorsi dei detriti facendo riferimento al modo con il quale alcune boe collegate ai satelliti si muovono alla deriva e sui dati dei venti raccolti nel tempo. Ma dopo tre anni dal quel fenomeno i modelli sono stati profondamente modificati da quanto si è potuto ricavare dal reale movimento dei detriti giapponesi. I modelli infatti, diventano validi solo quando si hanno delle riprove reali e in questo caso essi sono stati notevolmente migliorati seguendo i detriti nei loro movimenti. Si è scoperto che la galleggiabilità degli oggetti è elemento fondamentale nel farsi trascinare dalle correnti.
C’è di tutto, dai frigoriferi alle barche
I detriti sono arrivati sulle coste dell’Oregon, di Washington, dell’Alaska e delle isole Hawaii. Inoltre sono stati anche osservati dai marinai impegnati in lavori nel cuore dell’Oceano Pacifico. Un caso noto è quanto osservò l’equipaggio della nave scuola russa a vela Pallada durante il viaggio da Honolulu a Vladivostok. I marinai osservarono un gran numero di detriti, tra i quali anche una barca di pescatori che era stata persa a causa dello tsunami. Il materiale che per primo si arenò su una spiaggia invece, arrivò alle Hawaii circa un anno e mezzo dopo l’evento: si trattava di materiale che galleggiava molto facilmente, quali boe, piccole barche da pesca e piccoli frigoriferi. Dopo circa sei mesi arrivò materiale legnoso, meno galleggiante del primo. Analisi eseguite da esperti botanici permisero di stabilire che molto del materiale in legno era stato tratto da un cipresso endemico del Giappone. In alcuni casi si riuscì anche a stabilire quando il legno era stato tagliato. Sulle coste degli Stati Uniti il materiale è iniziato ad arrivare quasi due anni dopo lo tsunami e ancora oggi di tanto in tanto qualcosa giunge ad arenarsi.